Da sempre l’aiuto degli interpreti si è rivelato indispensabile per permettere alle persone di scambiare informazioni con popolazioni di lingue diverse dalla loro, ma come si è arrivati al servizio di interpretariato di conferenza moderno in cui l’interprete lavora in una cabina insonorizzata munito di cuffie e microfono? Cosa ha portato all’evolversi delle tecniche utilizzate per svolgere questa professione? Come sono cambiate nel tempo le condizioni di lavoro?
Tipologie di interpretariato di conferenza
Innanzitutto, bisogna fare una distinzione tra due tipi di interpretariato di conferenza:
In particolare, il secondo si è sviluppato solo in un’epoca recente. L’interpretariato consecutivo, infatti, è stato la metodologia predominante fino alle conferenze organizzate in seguito alla seconda guerra mondiale.
Storia dell’interpretariato di conferenza
La diffusione della consecutiva
La maggior parte degli storici è concorde nel ritenere che il primo interpretariato in consecutiva ufficiale si tenne in occasione della Conferenza di Parigi del 1919.
A quei tempi non esistevano scuole per diventare interpreti, ma “si improvvisava”. Si trattava di un’attività di tutto rispetto, riservata più che altro a militari e diplomati veterani e, inoltre, aveva un retaggio sostanzialmente maschile in quanto, a causa dell’assenza di microfoni, era necessario possedere una voce sufficientemente forte da poter essere capita da un pubblico che poteva raggiungere le centinaia di persone.
L’epoca della Grande Guerra aveva portato in auge l’idea di un confronto “mondiale” che, dopo il conflitto, si spostava sul piano diplomatico. La necessità di comunicare su vasta scala doveva fare i conti con il tema, antico quanto il mito della Torre di Babele, del multilinguismo. Infatti, i congressi riunivano persone di lingue diverse e, poiché la simultanea moderna non aveva ancora visto la luce, l’interprete veniva chiamato su due piedi ad interpretare fino a tre lingue in consecutiva.
Tra i primi interpreti di conferenza, citiamo il francese Paul Mantoux, che prestò servizio come interprete in occasione del celebre Trattato di Versailles (il trattato di pace che pose fine alla Prima Guerra Mondiale) e Jean-François Rozan, a cui è attribuita, tra l’altro, l’opera “La prise de note en interpretation consécutive“, che contiene l’ABC dell’interpretariato in consecutiva.
Negli anni a seguire, si assisterà ad una progressiva trasformazione delle tecniche di interpretariato. Infatti, agli inizi del XIX sec., era ancora il francese a costituire la lingua diplomatica per eccellenza che tutti i partecipanti dovevano essere in grado di capire (è il caso del Congresso di Vienna del 1814); un secolo più tardi non fu più così. Era ormai necessario interpretare in più lingue contemporaneamente evitando, tra l’altro, di prolungare la durata del congresso.
Dalla consecutiva alla simultanea
L’interpretazione consecutiva raggiunse così il proprio apice: non era più una sola persona a tradurre verso più lingue, bensì più interpreti che traducevano verso la loro lingua madre. Così, per velocizzare la durata dei congressi, si arrivò presto alla lettura in simultanea dei discorsi.
Fu, però, con il processo di Norimberga che prese forma l’interpretazione simultanea moderna vera e propria. Léon Dostert, ex interprete di Eisenhower, dimostrò che il ricorso alla tecnica consecutiva rallentava considerevolmente lo svolgersi del processo e propose di adottare l’interpretariato in simultanea.
Ai tempi il servizio esisteva già, ma era limitato da tecnologie non ancora impiegate per eventi di quel calibro e da un un contesto che rendeva difficile trovare degli interpreti di simultanea adeguatamente formati. Infatti la consecutiva era la tecnica predominante e, inoltre, l’esercizio della simultanea richiede un livello di allenamento e preparazione certamente più elevato. Nonostante le difficoltà, Dostert risolse il problema mediante l’avvicendamento: riuscì a trovare un numero sufficiente di professionisti e istituì 3 team di 12 interpreti che si passavano il testimone ogni 45 minuti.
Funzionamento dell’interpretariato di conferenza in simultanea nel ‘900
Come funzionava la strumentazione necessaria? Nel 1927, l’inglese Gordon Finlay, in collaborazione con Thomas Watson, creò l’apparecchiatura per la simultanea Hush-a-Phone Filene-Finlay, che consisteva in un dispositivo dotato di un microfono schermato e di un sistema di connessione con il pubblico. Il sistema utilizzato a Norimberga, tra l’altro, era anche munito di un sistema di allerta nel caso in cui l’interprete avesse riscontrato dei problemi (vi era la possibilità di attivare una lampada gialla nel caso in cui, per esempio, l’oratore avesse parlato troppo velocemente; e una lampada rossa si accendeva in caso di tilt).
In occasione della costituzione dell’ONU, furono convocati a New York numerosi interpreti che avevano già lavorato a Norimberga, poiché erano necessarie cinque lingue ufficiali.
Una transizione complessa: difficoltà e soluzioni
Parliamo ora delle condizioni di lavoro di questi interpreti. Durante i congressi del dopoguerra, il compito dell’interprete non terminava con la fine del discorso degli oratori, ma si protraeva anche in serata con la traduzione degli atti redatti durante la giornata, come risoluzioni, decisioni adottate, ecc.. In altri casi, dovevano redigere delle note relative alla sessione per rendere conto dei tête-à-tête organizzati tra i vari statisti.
Vi lascio immaginare l’eccesso di lavoro di questi interpreti… L’interprete W. Keiser, per esempio, in occasione del primo congresso di medicina omeopatica del 1951, dovette interpretare in consecutiva per una settimana intera (dal lunedì al sabato, giornata lavorativa completa) in inglese, francese e tedesco. Il risultato? L’ultimo giorno del congresso svenne! Sappiate che tali condizioni non furono contestate che nei primi anni ’60, con la presentazione, nel 1963 del Quaderno delle Lamentele e nel 1969, con la stipula degli accordi quinquennali tra le Nazioni Unite e la Comunità Europea.
L’interpretariato di conferenza al giorno d’oggi
Oggi, l’interpretariato è diventata una professione ben definita, non più riservata a un’élite, ma aperta a tutte le persone in possesso delle competenze necessarie e provviste di diploma conseguito presso una delle tante scuole interpreti create nel corso degli anni (la più datata è quella di Ginevra, fondata nel 1941). Infine, per difendere e proteggere il loro operato, i professionisti sono spesso iscritti ad associazioni di settore, come l’Associazione Internazionale degli Interpreti di Conferenza, che venne creata nel 1953.