Chiunque, almeno una volta nella vita, si è trovato costretto a fare i conti con un manuale d’uso. Che sia per una televisione, per una lavatrice o per un’automobile, è pressoché impossibile avvicinarsi al lato tecnico di un oggetto senza avere delle istruzioni chiare e precise su come agire – a meno che non ci si senta particolarmente avventurosi e si decida di ascoltare l’istinto, andando per tentativi.
Il manuale d’uso è l’ancora di salvezza per eccellenza: si prende tra le mani il piccolo libriccino, si inizia a scorrere tra le parole, si cerca di capire. E nel frattempo si finisce sommersi da imperativi e termini tecnici a profusione che, pur se nella propria lingua madre, non di rado costringono i poveri utenti a una confusione ancora maggiore e ad imputare aprioristicamente al manuale la colpa di non sapersi “spiegare bene”.
Del resto, l’obiettivo principale – e auspicabile – di qualsiasi manuale tecnico è solo uno: farsi capire. Generalmente, stilare un testo che sia di facile e immediata comprensione è l’ambizione primaria di ogni casa produttrice, che, oltre ad agevolare il rapporto del lettore/utente con l’oggetto appena acquistato o da riparare, contribuisce a garantire la buona qualità del prodotto e ad accrescere la propria fama nel settore. Le finalità commerciali che stanno alla base di ogni buona azione di marketing richiedono per quello stesso testo l’intervento di un traduttore che lo trasponga in una lingua diversa dall’originale, così da rendere più semplice l’introduzione e il piazzamento del prodotto sul mercato estero. L’operazione di traduzione tecnica potrebbe sembrare di una semplicità disarmante, dal momento che non vi sono molte vie di scampo quando si ha a che fare con termini appartenenti a un certo gergo settoriale e la corrispondenza è pressoché immediata, eppure vi sono sfide traduttive di una certa importanza costantemente dietro l’angolo.
Tra le tante opzioni che si potrebbero annoverare in merito, spicca il caso dei testi tecnici in lingua inglese scritti da non madrelingua.
Quando un traduttore italiano si accosta in piena consapevolezza a un testo tecnico in inglese, non serve troppo tempo per classificarlo e decidere se effettivamente sia frutto di qualcuno provvisto di sufficienti competenze linguistiche e grammaticali oppure se l’inglese sia stato utilizzato come lingua franca per poter cavalcare l’onda dell’internazionalità. Nel primo caso, l’attività del professionista si rivela tutto sommato semplice, richiedendo perlopiù un substrato coerente di conoscenze settoriali adatte allo scopo e l’abilità di inanellare frasi che possano essere limpide, puntuali e prive di ambiguità; nel secondo caso, al contrario, il traduttore è obbligato non soltanto ad armarsi di una buona dose di pazienza, ma anche a farsi letteralmente veggente per intuire cosa intendesse dire l’autore del testo.
A seconda della fortuna, talvolta a supporto del professionista giungono in soccorso siti internet e documenti di vario genere collegati al testo incriminato oppure redatti dalla casa produttrice nella sua lingua madre – e casualmente nel bagaglio culturale del traduttore, che può in questo modo effettuare una sorta di cross-translation –, mentre altre volte può disporre di colleghi più esperti in grado di supportarlo e possibilmente revisionare il suo operato, oppure di specialisti del settore in grado di illustrare chiaramente il comportamento e la struttura di un prodotto specifico e di dare dei piccoli input, oppure ancora del contatto diretto con la casa produttrice – scelta che a prescindere potrebbe risultare vincente.
Ma cosa accade quando invece si ritrova abbandonato a se stesso?
Se proprio non esistono appigli, il traduttore non può fare altro che diventare per similitudine come l’utente di cui si parlava all’inizio e affidarsi allo stesso tipo d’intuizione, promettendosi una concentrazione maggiore e una resa soddisfacente, oltre che pulita e diretta. La logica, unitamente al doveroso substrato culturale citato in precedenza, diviene il suo vero asso nella manica. Tuttavia, se il professionista non è sufficientemente abile, nemmeno la migliore delle intenzioni può riuscire a produrre gli effetti desiderati e l’utente finale sarà gettato in pasto alle stesse criticità che il traduttore ha scorto nel testo sorgente, quasi come se – per dirla in termini di traduzione – si stesse assistendo a un vero e proprio calco. In casi estremi, la soluzione per il professionista è una sola: mettersi in contatto col cliente e attivare un dialogo tra le parti in modo da trarne giovamento reciproco. Oppure acquistare in prima persona il prodotto e iniziare ad armeggiare, anche se indubbiamente è molto meno economico.